Diabete tipo 1 nuovo farmaco Teplizumab che ritarda la comparsa dei sintomi

Diabete tipo 1 nuovo farmaco Teplizumab che ritarda la comparsa dei sintomi

Diabete tipo 1 nuovo farmaco Teplizumab che ritarda la comparsa dei sintomi.

Negli Stati Uniti, l’Agenzia Federale per la vigilanza dei farmaci FDA (Food and Drug Administration), ha approvato il farmaco Teplizumab. Si tratta del primo medicinale in grado di ritardare l’insorgenza dei sintomi del diabette di tipo 1 di alcuni anni.

Teplizumab dovrebbe essere disponibile negli Stati Uniti entro fine anno, ma non cura il diabete. L’impiego è destinato ai pazienti che sono soggetti a sviluppare il diabete 1 (la forma autoimmune della malattia) che colpisce di solito bambini e giovani con meno di 40 anni.

Grazie al nuovo farmaco si potrà rallentare la progressione permettendo ai pazienti di restare liberi dai sintomi per più anni.

Come si manifesta il diabete di tipo 1?

Fra i segni del diabete 1 vi è una marcata perdita di peso accompagnata da spossatezza, una sete inestinguibile e una continua necessità di urinare. Questa forma di diabete è causata da un attacco autoimmune al pancreas, l’organo responsabile della produzione di insulina.

L’ormone insulina che ha la funzione di far entrare il glucosio nelle cellule, non viene più prodotto dal pancreas poiché il sistema immunitario, per errore, mira alle cellule beta del pancreas che sono incaricate nella sua secrezione.

A causa di questo attacco il pancreas non può più produrre insulina e l’organismo non è più in grado di regolare gli zuccheri nel sangue.

Come agisce Teplizumab

Teplizumab (il cui nome commerciale è Tzield) prodotto da Provention Bio, è un anticorpo monoclonale, ossia un anticorpo modificato ottenuto in laboratorio, che si lega a una molecola presente sulla superficie delle cellule T, i globuli bianchi responsabili dell’auto-sabotaggio delle cellule beta nei pazienti con diabete di tipo 1.

La molecola presa di mira di norma attiva le cellule T: agganciandola, il farmaco evita per un po’ la loro risposta autoimmune contro il pancreas.

Il medicinale è in sperimentazione da anni ed è stato approvato a seguito di uno studio su 76 pazienti con diabete di tipo 1.

I partecipanti allo studio erano nella fase presintomatica della malattia, ma mostravano i segnali d’allarme, ovvero la presenza di autoanticorpi e un metabolismo anomalo del glucosio.

Nello studio durato 51 mesi, metà dei pazienti ha ricevuto il farmaco e metà un placebo.

Fra i pazienti che hanno preso il farmaco solo il 44% ha sviluppato i sintomi del diabete, contro il 72% dei soggetti che hanno preso il placebo.

Il gruppo di persone trattate con il farmaco hanno manifestato il diabete in modo sintomatico in media due anni più tardi rispetto a chi non si è sottoposto a terapia.

Può essere somministrato a tutti?

Il trattamento prevede la somministrazione intravenosa con flebo, una volta al giorno per 14 giorni. Secondo il New York Times il farmaco, della Provention Bio, costerebbe 13.850 dollari a fiala (circa 13.500 euro) o 193.900 (189.000 euro circa) per un trattamento completo. Tali importi potrebbero essere coperti da assicurazioni sanitarie, ma restano cifre ingenti, dunque per ora è difficile prevedere una diffusione su larga scala.

La prima difficoltà sarà reclutare i pazienti che ne possano beneficiare, prima che sviluppino i sintomi del diabete. Sappiamo che l’esordio della malattia è in genere improvviso e spesso avviene in adolescenza, ma gli autoanticorpi che indicano un attacco al pancreas sono spesso presenti già a 5 o 6 anni di età. Potranno dunque essere fondamentali gli screening precoci per il diabete, che non sono però ancora diffusi, e anche testando soltanto chi ha familiari stretti con la stessa malattia si mancherebbero comunque l’85% delle diagnosi.

Le associazioni dei pazienti con diabete di tipo 1 negli USA vorrebbero che lo screening per il diabete giovanile diventasse parte della routine di cura in età pediatrica.

Teplizumab è utile?

Secondo gli autori dello studio che ha portato all’approvazione, apparso nel 2019 sul prestigioso New England Journal of Medicine, il farmaco serve per guadagnare tempo utile a prepararsi, a crescere ancora un po’ e a conoscere la malattia, ma anche per ottenere qualche anno in più senza gli sbalzi glicemici che possono portare a complicanze anche gravi.